Da molto tempo non scrivevo articoli; il lavoro m’impegna moltissimo ultimamente.
Amo scrivere.
A volte c’è un silenzio interiore che può durare giorni, settimane e poi improvvisamente un movimento chiede di essere portato fuori.
Lo riconduco sempre al processo della gestazione e del parto.
Siamo costantemente in una condizione di gestazione e di nascita.
Vivi, relazioni con il mondo, fai esperienze e entrano delle “cose”, così le chiamo, non sapendo come definirle. Sono un insieme di energie, qualità e forme diverse di spiriti.
Queste “cose” mettono un seme interiormente e qualcosa cresce.
Può bastare poco tempo o magari di più, ma prima o poi, quel seme crescerà per prendere vita in qualche forma, con il bisogno di essere partorito e donato al mondo, manifestandolo.
Ecco, questa è per me la scrittura.

Sempre di più, nel lavoro che propongo, emerge quanto il corpo sia un magazzino d’informazioni che, molto spesso, viene abitato abusivamente da convinzioni e credenze.
Ogni cellula avrebbe un suo determinato compito, come noi individui avremmo un destino da perseguire.
Spesso non è così. Nè la cellula, né l’individuo, possono seguire la loro fisiologia innata; l’essere mezzo e attraversati dalla Creazione.
L’ho scritto anche nei miei libri, di quanto, antropologicamente parlando, stiamo perdendo il contatto con l’uso della parola e gli effetti di essa.
Sempre più spesso mi ritrovo a lavorare con le conseguenze delle parole sul corpo, anche nel contesto medico.
Colui che si prende cura di un altro essere umano, specialmente nell’ambiente della nascita, dovrebbe avere l’imprescindibile capacità morale, etica e umana di essere pienamente consapevole del suo Sè e del potere che emana dal suo ruolo autorevole.
Non sto assolutamente demonizzando la medicina o coloro che investono quei ruoli, ma, in una visione olistica del sistema, ci si dovrebbe aprire agli effetti degli interventi, delle diagnosi espresse in un certo modo, alle parole e ai giudizi inconsapevoli.
Potrei scrivere un libro sulle testimonianze raccolte in questi anni, di come figure in ruoli rilevanti, che non hanno lavorato su di sé, proiettino sui loro clienti o pazienti, le emozioni non elaborate nel loro rapporto con la figura genitoriale.
Istituirei una legge a proposito: non è possibile accedere a un lavoro al servizio della persona, se non è stato intrapreso un profondo lavoro interiore di consapevolezza.
Per servizio alla persona, intendo educatori, insegnanti, dirigenti scolastici, avvocati, giudici, assistenti sociali, infermieri, medici di ogni ordine e terapeuti di ogni forma e sostanza. Ancor di più chi riveste ruoli militari e nel contesto della politica, dal vigile del paese al poliziotto, al soldato.
Tornando al contesto della gestazione e della nascita, rimarco questo periodo, in quanto, ciò che accade nel passaggio, diventa imprinting di base.
Come la scheda madre di un computer: la credenza in ogni cellula che quella sia la vita.
Grazie all’epigenetica e alle neuroscienze si sta scoprendo che i traumi e le convinzioni vanno a segnare l’RNA per generazioni; gli antichi popoli semplicemente esprimevano che uno spirito era entrato nel tuo corpo e che andava estirpato da esso.
Ci sono delle parole chiave, che danno dei comandi o che comunque creano una memoria. Quelle parole, vissute in una certa condizione di intensità traumatica, prendono consistenza e radice nel corpo e come un virus nel computer, vanno a cambiare l’informazione di base.
Porto un esempio concreto, di un lavoro effettuato, proprio oggi.
Ho il consenso della ragazza di parlarne, in ogni caso non ci sono riferimenti a persone e a luoghi.
E’ un semplice esempio di come una frase possa diventare una sentenza.
La persona si è rivolta a me per un senso generale di insoddisfazione, con la sensazione di impotenza e di non riuscire a portarsi fuori. Una mente piuttosto attiva nel continuo giudizio di sé stessa.
La seduta era online e in quel contesto si lavora a occhi chiusi con una visualizzazione e un profondo ascolto corporeo. Appena chiudo gli occhi, mi arriva l’immagine di un intervento chirurgico. Chiedo alla persona se da piccola avesse subito un intervento di questo tipo e lei mi risponde di no ma che la madre ha subito un amniocentesi, durante la gravidanza. Nel giro di pochi giorni, dopo un allarme rispetto ad analisi non convincenti, la madre subisce l’intervento. Questo tipo di esame, comporta l’inserimento di un ago che attraversa la pancia, buca l’utero e il sacco amniotico per prelevare il liquor, per esami genetici più approfonditi.
Senza entrare nei dettagli della seduta, accompagno la persona a visualizzare mamma con la presenza dei medici e immediatamente il corpo della ragazza, inizia a ricordare.
La frase chiave che è entrata dentro di lei e che il corpo immediatamente ha riconosciuto, era “C’è qualcosa che non va”.
L’opinione di un autorità (il medico) nei confronti di una giovane donna alla prima gravidanza, ha creato un intensità di pensieri ed emozioni che per la madre in quel momento è stato “troppo”.

Ovviamente, il feto, che è in totale simbiosi, ha sentito tutta l’intensità di quel momento.
Dopo averla accompagnata a lasciare che il corpo trasformasse quella frase interiormente, le ho fatto visualizzare la madre sul lettino e davanti il medico con l’ago in mano.
Immediatamente la ragazza ha rivissuto quel senso di svenimento che prova ogni volta che si trova di fronte ad un ago, comprendendo da dove arrivava quella paura profonda.
La seduta è proseguita, attraverso parole chiave di guarigione che hanno permesso al corpo di scaricare tutta la paura della madre e contattando uno spazio interiore sicuro, intimo e protetto.
Per i mentali che stanno leggendo l’articolo, questi non sono processi di tipo cognitivo; non riguardano assolutamente la memoria oggettiva, anche perché il cervello non è ancora formato del tutto, in quel periodo. Parliamo esclusivamente di memoria cellulare, di una chimica fisiologica che è stata disturbata da un eccesso di ormoni (emozioni) e di adrenalina (paura).
Quando un ago, un bisturi, un esame invasivo entrano in un corpo, nonostante la sedazione di quella zona, si attiva una reazione che è del mammifero, la parte di cervello arcaico.
Molto semplicemente, è una questione di territorio invaso e il sistema nervoso rimane reattivo e in difesa.
E’ assolutamente onorabile un intervento chirurgico che migliora o salva la vita; bisogna anche ricordare che però ci sono degli effetti che vanno affrontati in una visione più amplia e sistemica
Il corpo ricorda tutto; ogni singola cellula ricorda.
Trovo talmente affascinante tutto ciò e solo quando torneremo ad essere consapevoli e a onorare anche i processi non visibili, riscopriremo la sacralità di uno spazio che è semplicemente il grande mistero della vita.
Non tutto è comprensibile, quantificabile e qualificabile.
E rilassati in questo.
Janine Van Der Merwe