
Utilizzo il termine “effetto Matrioska” per indicare una dinamica che nel mio lavoro ultimamente si presenta spesso.
Siamo in una fase storica molto complessa, che sta svelando molti aspetti nascosti e allo stesso tempo risolutori con grandi possibilità di rinascita. In questi anni stanno morendo gli ultimi testimoni diretti della seconda guerra mondiale e, se glielo permettessimo, chiuderebbero con la loro dipartita, la memoria del trauma collettivo che hanno vissuto direttamente. Tutto ciò non può avvenire nella misura in cui noi, figli e nipoti, non li lasciamo andare e, in particolare modo, non lasciamo andare le loro storie e i loro vissuti, perdendo l’occasione di fare spazio al nuovo.
Anzi, tendenzialmente si nutre il senso di colpa nel permettersi di vivere una vita nella gioia e nell’abbondanza, mentre in realtà, loro chiederebbero semplicemente di onorare i loro sacrifici permettendoci di vivere pienamente l’abbondanza di questi tempi presenti.
Ovviamente il lasciar andare comporta la consapevolezza di farsene carico, aspetto di cui la maggior parte degli individui neanche se ne rende conto di essere irretito nelle storie dei propri nonni. Il periodo Covid ha mostrato proprio queste dinamiche e reattività..
Inoltre la problematica si sposta dal piano sistemico, tipico dello strumento delle costellazioni famigliari, all’aspetto traumatico con la conseguente attivazione del sistema nervoso simpatico e parasimpatico e la reazione vagale.
La teoria polivagale di Stephen Porges ha ridisegnato ciò che si conosceva della fisiologia del sistema nervoso, in maniera così chiara da poter essere integrata in numerose tipologie di terapie mediche, psicologiche e anche nel contesto olistico.

Nel lavoro che propongo, definito Metodo Jan, l’aspetto sistemico si sta sempre più integrando in profondità con la risoluzione dei traumi a rilascio corporeo, tant’è che a volte trovo limitante la definizione di costellatrice.
Da anni lavoro con l’attivazione del sistema nervoso, ma le varie esperienze che ho vissuto in Africa negli ultimi anni, mi hanno portata a percepire e a comprendere la teoria polivagale in modo completamente diverso, integrato e esperienziale. L’Africa destruttura e riporta noi individui, figli di un mondo definito civilizzato, a ricordare le basi della fisiologia umana, specialmente per quanto concerne l’aspetto che Porges definisce enterocezione, la capacità di riconoscere i bisogni fondamentali: se ho fame mangio, se ho sete bevo, se ho sonno dormo e, se ho bisogno di muovermi, lo faccio.
Congelando tutto ciò fin da neonati, nella nostra società profondamente strutturata in cui ad esempio, l’allattamento del bambino non doveva avvenire prima delle quattro ore, nonostante i suoi pianti e le sue richieste, abbiamo perso il contatto con la realtà della fisiologia umana.
Le conseguenze si manifestano anche a livelli di connessioni più profonde, influendo sulla capacità di agire e prendere decisioni anche da adulti. Per spiegare l’effetto matrioska, che definisce l’effetto traumatico a livello transgenerazionale tendenzialmente della linea femminile nel sistema famigliare, devo dare spazio a delle definizioni riprese dalla teoria polivagale.
La reazione del sistema nervoso simpatico si basa sul movimento attacco-fuga. La parola che contraddistingue quest’attivazione è DEVO.
Devo farcela, devo sopravvivere, devo andare avanti, altrimenti impazzisco.
Ovviamente tutto ciò non è su base volontaria ma autonoma, del sistema nervoso in una condizione di minaccia che è costretto a congelare l’aspetto emotivo e a congelare in una certa misura gli organi di senso, attivando la resistenza per incrementare l’energia spinta all’azione e al movimento attacco e fuga. L’unica emozione che rimane è la rabbia e poi, finita l’emergenza, l’ansia.
L’attivazione del sistema nervoso parasimpatico invece è diametralmente opposta. E’ la più arcaica, quella degli anfibi e dei rettili: l’immobilità. La parola chiave che la contraddistingue è NON POSSO, che diventa “faccio finta di essere morto/a, finche non passa il pericolo”.
Fisicamente si attua con l’immobilità, lentezza, bradicardia, collasso, chiusura, spegnimento. L’emozione che caratterizza questo stato è la tristezza, associata alla profonda paura di morire. Queste condizioni sono accompagnate da una massiccia presenza di ormoni come adrenalina, noradrenalina e cortisolo che fondamentalmente creano dipendenza.
Tutto ciò lo riproponiamo nell’effetto matrioska e per spiegarlo utilizzo una storia. Ogni riferimento è puramente casuale e riprende dall’esperienza di svariate sessioni di lavoro su queste tematiche.
Ti invito nella lettura a stare presente, potrebbero attivarsi delle memorie personali. In questo caso, respira profondamente e guardati attorno per prendere contatto con la realtà circostante.
Nonna Maria nasce nelle campagne vicino al Piave nel 1918, alla fine della prima guerra mondiale. Nasce già con un sistema nervoso attivato da una madre spaventata. Scoppia l’epidemia della spagnola, di seguito c’è l’ascesa del fascismo e della figura di Mussolini. Nel frattempo lei si sposa e ha un paio di figli prima del ‘39 e un’ultima figlia nel ‘44, in pieno periodo dei rastrellamenti tedeschi nella loro ritirata all’arrivo degli alleati. Lei è incinta quando un gruppo di tedeschi sfonda la porta per cercare suo marito. Le puntano il fucile, la minacciano, la spingono e poi se ne vanno.

Cosa accade?
E’ troppo!! Se quella donna sentisse tutta la paura e le emozioni di quei momenti, impazzirebbe e probabilmente perderebbe la figlia che porta in grembo. A qualche donna è successo. Il suo guardiano, il sistema nervoso, per preservare la vita, attiva il sistema autonomo simpatico, congela il cuore, congela gli organi di senso mentre le surrenali scaricano adrenalina agendo in modalità di attacco e fuga.
Scatta il DEVO e diventa una di quelle tante donne poi definite forti, inarrestabili come carri armati. Non può più sentire l’amore, non può produrre ossitocina.
Non sono forti, hanno semplicemente resistito! E’ profondamente diverso!
E la creatura in grembo?? L’embrione o il feto non ha ancora sviluppato l’aspetto cognitivo, non ha imagini da elaborare e consapevolizzare. Nel grembo, la sua prima casa, sente accelerare il battito cardiaco della madre, sente il diaframma e il sistema nervoso viscerale enterico, contratti e spastici nei movimenti, adrenalina in alta quantità. In quel grembo percepisce una minaccia che riempie tutto l’utero.
Scatta il ramo dorso vagale, il NON POSSO: paralisi, immobilità, risparmio energetico per mantenere le funzioni vitali principali. E’ come mettersi in un angolo dell’utero, spegnersi ed aspettare che il pericolo passi. La creatura nasce e viene presa in braccio da una madre rigida, contratta, tremolante; l’intonazione della voce che cerca di essere amorevole verso la figlia, comunque è sporcata dalla paura, da uno stato d’ansia. Inoltre non è solo la madre in quella condizione ma tutto l’ambiente che circonda quella famiglia è in stato d’allerta nel ’44; l’inconscio collettivo è saturo di paura di morire. Non c’è luogo dove essere al sicuro.
Quella creatura pura come un cristallo, sarà nutrita e di conseguenza abitata dalla paura di morire.
Quella bambina cresce, la guerra finisce e scoppia il boom economico: rinascita, desiderio di dimenticare e di andare avanti ma il sistema nervoso rimane attivato, nella paura di morire, nella paura della fame, che non ce ne sia abbastanza. Fame d’amore e di contenimento.
Si sposa, rimane incinta e ha una figlia nel ’65, in quel contesto sociale di risveglio e di opportunità. Nella gravidanza, nei passaggi di condizione, i traumi riaffiorano insieme alle paure. Quel feto in grembo, attraverso gli ormoni, sentirà le paure della madre, le sue emozioni, il senso di abbandono dato da una madre forte, che ha resistito in tempo di guerra ma che non ha avuto tempo, essendo in attacco e fuga, di essere disponibile, presente e amorevole.
Il tempo dell’amorevole cura.
Ed è in quel vuoto che la terza generazione (la nostra) tenderà a farsi carico della madre e della sua emotività, prendendo il posto della nonna per nutrirla di amore e attenzioni.
Questa generazione però vive una differenza sostanziale: nasce in un ambiente sicuro dove non ci sono pericoli o minacce reali.
E sarà così, che con un piede nel passato e un piede nel presente, la terza generazione, con gli strumenti di oggi e ad una sufficiente distanza temporale dall’evento traumatico, avrà la possibilità di consapevolizzare tutto ciò, liberarsi e liberare la madre e la nonna.
Se si era creato un effetto matrioska, per cui le paure congelate nell’utero della nonna trattenevano in forme diverse di attivazione del sistema nervoso, la figlia e la nipote, sarà proprio quest’ultima che invece potrà discernere, liberare nell’amore e nell’autoregolazione, tutta quell’energia trattenuta perché la nonna possa finalmente riposare in pace, perché la madre possa a suo tempo morire in pace e la nipote vivere in pace.
La guerra è finita da tanto tempo!!
Fonti per la teoria polivagale: “La Guida alla teoria polivagale” di Stephen Porges e “Esperienze polivagali per operatori corporei” di Cinzia Brait e Marina Negri