In tempi non sospetti, quasi dieci anni fa, avevo fondato un associazione culturale, i cui temi portanti erano incentrati, con l’offerta di varie proposte formative, nel mettere in comunicazione persone che avessero uno sguardo “lungo”, una visione di una realtà, che sicuramente, andava verso il progresso, ma che mantenesse le radici nelle tradizioni, nella saggezza popolare, nella capacità di autoprodurre, nella coltivazione dell’orto, nel fare il pane in casa, di alimentare il senso di comunità che si apre al fatto che lavorare insieme è meno faticoso.

Venivano proposti incontri dedicati alla raccolta di erbe spontanee, autoproduzione di detersivi, saponi e creme, panificazione con la pasta madre, coltivazione sinergica e naturale, ricerca di semi antichi e autoctoni e la fondazione di un GAS (Gruppo di acquisto solidale). Abbiamo lavorato il feltro e tenevamo gruppi di donne con l’uncinetto, in cui le grandi insegnavano alle piccole e ovviamente, era anche un bel momento per gustarsi merende meravigliose fatte in casa.

Il mio lavoro di terapeuta era agli esordi, mi occupava una minima parte del mio tempo; ora non è più così.

In quel periodo, quando incontravo queste persone, ripetevo spesso la frase:” C’è bisogno di creare rete!!”.

Oggi, dopo ben dieci anni, comprendo in maniera profonda, cosa in maniera inconsapevole, cercassi di portare fuori con quel termine, al di là del semplice significato della parola rete e del creare connessioni fra persone.

In questi dieci anni, la realtà è cambiata ad una velocità incredibile, alterando la percezione del tempo, il tutto amplificato dalla digitalizzazione di gran parte degli aspetti della vita.

In una realtà in cui per generazioni, per retaggi profondamente moralisti, demonizzando il corpo e i suoi aspetti naturali ed istintivi, l’essere umano si è allontanato sempre di più dalla sua origine mammifera, e quindi dal fisiologico istinto di preservazione della specie del cervello arcaico, giudicando ed escludendo la parte d’ombra del suo inconscio. Lentamente, in un profondo e inesorabile processo di rimozione interiore del semplice buonsenso e della saggezza popolare, l’individuo è diventato sempre più incoerente e sempre più scollegato dai moti interiori (sensazioni fisiche, aspetti emotivi, tempi lenti e ascoltati di elaborazione). In questo “vuoto” interiore, molto facilmente, affondano le radici di credenze, di illusioni, di interpretazioni della realtà e manipolazioni, non avendo più fiducia del proprio sentire, nell’ascolto interiore di ciò che è giusto per quell’individuo, scollegato dalla realtà oggettiva.

Per generazioni, per timore di essere esclusi dal gruppo di appartenenza, si scendeva a compromessi, rinunciando all’Io individuale, perdendosi in un IO collettivo. Questo processo era legato semplicemente alla sopravvivenza, al senso del branco che doveva restare unito per difendersi dalle avversità della natura, dalle intemperie e dalle incursioni di altri gruppi o clan.

Tutto questo funzionava perfettamente e trovava equilibrio in un sistema collettivo collocato in un periodo storico basato su certi bisogni.

Quei bisogni, oggi, sono oggettivamente cambiati.

Dall’invenzione della ruota, datata ultimamente da nuovi studi, a 3.500-4000 anni A.C., assolutamente indispensabile all’uomo per alleggerire il trasporto, oggi siamo arrivati alla massima espressione di dipendenza dalle macchine.

Prima di inoltrarmi nel testo, vorrei chiarire un punto fondamentale, che è la sostanziale differenza fra l’essere dipendenti da un oggetto, dall’esserne posseduti. La dipendenza, nel contesto dell’uso di certi strumenti implica il bisogno oggettivo di quel mezzo, in quanto mi facilita enormemente la qualità della vita. Ad esempio dipendo dall’impianto idraulico per poter avere l’acqua in casa con l’oggettiva risorsa del fatto che mi posso lavare ogni giorno, bere, cucinare, lavare i vestiti, la casa e inaffiare piante e orto. Quest’impianto non è sostituibile con nient’altro se non con l’immensa fatica di andare alla sorgente o fiume più vicino a raccogliere quell’acqua, cosa impensabile oggigiorno. Questo è un esempio di progresso, innovazione e conoscenza al servizio dell’uomo che può mantenere un contatto con la realtà oggettiva senza esserne alienato.

La possessione è un aspetto ben più profondo; l’individuo dipende sì da quell’oggetto o mezzo tecnologico e contemporaneamente, con l’effetto simile di un “incantesimo”, in uno stato ipnotico, si lascia annichilire e alienare dalla realtà circostante, dimenticando i propri bisogni primari (mangiare, dormire, avere rapporti sessuali e di essere in relazione sociale). Quella persona non è più presente a sé stessa, è da un altra parte, in un profondo stato dissociativo. Ne fai spesso esperienza, quando di fronte al cellulare, sui social, non ti rendi conto del tempo che passa. Non sei tu che usi il cellulare, sei invece posseduto dal cellulare, sei posseduto dalla macchina.

Data questa distinzione fra dipendenza e possessione, torniamo al concetto di rete.

Tutto quello che crea l’uomo è una proiezione di sé stesso, dal micro al macro, alla ricerca del suo Sè e nell’aspetto evolutivo, Internet e la digitalizzazione ci mostrano le potenzialità del nostro cervello, della capacità dell’essere umano a livello di sinapsi e di connessioni neurali, definita rete neurale, ma non solo.

Osservate anche il linguaggio utilizzato per descrivere la rete neurale, citando banalmente Wikipedia:

“Una rete neurale descrive una popolazione di neuroni fisicamente interconnessi tra loro, o un gruppo di neuroni cui diversi fattori di produzione o di segnalazione definiscono un circuito riconoscibile. La comunicazione tra i neuroni spesso comporta un processo elettrochimico. L’interfaccia attraverso la quale essi interagiscono con i neuroni circostanti è costituita, come precedentemente indicato, da diversi dendriti (ingresso della connessione), che sono collegati tramite sinapsi ad altri neuroni, ed un assone (output della connessione). Invece, un circuito neurale è un ente funzionale di neuroni interconnessi che si influenzano a vicenda (simile a quello di un loop di un controllo in cibernetica).”

Non sono laureata in neuroscienze, ma posso immaginare che all’interno del cervello, nella perfezione armonica della complessità del nostro corpo, ci sia, grazie alle sinapsi, una capacità di comunicazione inimmaginabile e che, per fare un semplice esempio, mentre sto scrivendo quest’articolo, se potessero monitorare quello che accade nel mio cervello, vedremo migliaia, se non milioni di lucine che si accendono e che si spengono in una danza armonica, come quando capita, ormai raramente, di trovarsi all’interno di uno sciame di lucciole. Ho avuto la fortuna di fare questa esperienza insieme agli allievi del percorso formativo durante un incontro residenziale, trovandoci, in una notte di fine giugno, circondati da migliaia di lucciole. In quel magico momento, osservando con occhi stupiti e meravigliati quella bioluminescenza, ho proprio pensato che nel nostro cervello, accade la stessa cosa.

Dal micro passiamo al macro, alla rete informatica e ricercando una definizione semplice, essendo molto ignorante in materia, ho trovato queste caratteristiche:

“Un insieme di apparati hardware e software tra loro collegati, capaci, attraverso determinati canali di comunicazione, di scambiarsi dati e informazioni: questa è una rete informatica, detta anche rete di computer.

All’interno di tale rete, i dispositivi che generano i dati sono chiamati “nodi” della rete e comprendono PC, telefoni, server, switch, modem e router.

Quando uno di questi dispositivi è in grado di scambiare dati e informazioni con un altro dispositivo, ecco che questi sono collegati in rete, attraverso canali trasmissivi per il corretto invio dei messaggi (o codici).”

Anche in questo caso, perché la rete informatica possa funzionare, l’imprescindibile caratteristica è la comunicazione fra le parti della rete, che dovrebbero parlare, attraverso i codici, la stessa lingua.

E qui sorge la domanda spontanea: noi esseri umani, in una dimensione di mezzo fra il micro della cellula e il macro di internet, siamo in grado di creare rete? E se non è così, qual è appunto la qualità che ci impedisce di crearla?

Prima di dare la risposta, vi invito a guardare l’immagine qui sotto, ripresa da un sito che parla di reti di connessione. Immaginate che ognuno di quei pallini sia un essere umano. 

Ti invito a visualizzarlo richiuso su sé stesso a guardare a terra; un adulto esteriormente ma che interiormente non ha ancora sviluppato quella che viene definita la genitorialità interiore. Un adulto che ancora aspetta che mamma e papà siano diversi da quello che sono, che ancora li giudica per ciò che non sono riusciti a dargli, che pretende ancora l’amore ideale. E in quella fame d’amore disfunzionale, ha bisogno di nutrirsi ed è qui che la dipendenza diventa possessione. Quell’individuo sarà dentro a un suo filmino personale e non si rende assolutamente conto della realtà che lo circonda e di tutti gli altri individui che gli sono accanto. Cosa succede, quando ogni persona, che in quella immagine è rappresentata dal pallino, è nel suo filmino interpretativo? Fra tutti quegli elementi non potrà esserci comunicazione per il semplice fatto che non si “vedono” tra loro e ovviamente, non può esserci rete, non può esserci connessione, non c’è comunicazione, non possiamo sentirci UNO.

Un interessante parallelismo che spero vi offrirà uno spunto di riflessione e, in un periodo storico, in cui fa comodo che tu ti senta solo rimanendo nel tuo filmino personale, perché così sei condizionabile; l’incentivare la comunicazione solo attraverso il digitale, ha la funzione che tu rimanga nella condizione di essere posseduto dalla macchina.

Ma affinché la macchina possa essere invece al tuo servizio, l’unica risposta a tutto questo, sta nell’avviare un processo di trasformazione mondiale. Come? 

Nutrendoti dell’amore di mamma e papà, nell’accettazione di quello che potevano darti, riempiendoti della vita che ti hanno trasmesso in quell’atto d’amore dei loro corpi, quel SI delle loro cellule nella predisposizione a trasmettere la vita. In quel senso di pieno interiore, sciogliendo l’allerta di un sistema nervoso “affamato”, nella piena consapevolezza del Sé, ritorni a essere tu il protagonista della tua vita, scegliendo in che modo utilizzare la macchina.

Di conseguenza, accettando, da adulto, la realtà della tua infanzia, potrai vedere la realtà odierna e chi e cosa ti circonda, integrando il significato profondo e consapevole del termine “Io ti vedo”.

In una società di questo tipo, costruita da adulti, anche se parliamo idiomi diversi, ciò che crea rete è il linguaggio del cuore, il semplice codice dell’amore.

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