Prevért, poeta francese del ‘900, scriveva: “La vita è una ciliegia, la morte il nòcciolo, l’amore il ciliegio”. Mi accingo a mio rischio e pericolo, rischiando la banalità, a scrivere un articolo sulla parola amore e il concetto che ne deriva. Di questa parola si sono scritti romanzi, trattati, epiche e molti filosofi si sono confrontati nel cercare di dare una dimensione o una collocazione a questo termine, così spesso utilizzato inconsapevolmente. Ogni individuo vive la sua unica e singolare esperienza di quello che egli stesso indica o ritiene essere amore, in base all’esperienza vissuta fin dal momento del concepimento nella relazione con mamma e papà; sarebbe estremamente utile comprendere cosa significhi effettivamente amore o amare e ci farebbe riconoscere e discernere quello che non è tale.

Gran parte del mio lavoro si basa sull’uso della parola in maniera profondamente consapevole, rispetto al movimento del campo cosciente; le parole sono nutrite di uno spirito, hanno una qualità che emanano perché alimentate per secoli, se non millenni di quella emanazione e molto spesso nel tempo quelle parole si sono trasformate, perdendo la loro origine sacra. A un certo punto le parole hanno vita propria e lo sanno molto bene le persone che utilizzano questo potere per manipolare (portare a sè), attraverso l’uso della parola. Questo lo esprimo perché una delle mie caratteristiche è sentire ciò che emana una parola, ancor prima di conoscerne l’etimo, la sua radice. Ciò che evocano dentro di me le parole amore e amare, è la disponibilità interiore, per amore, di morire; assimilerete al meglio questo concetto nello sviluppo di certe comprensioni etimologiche. Dal vocabolario Etimologico della Lingua Italiana – Francesco Bonomi, amare-amore derivano dal latino amare da camàre, dalla radice sanscrita KA, KAM, desiderare, amare. Con il passare del tempo, si è persa la lettera iniziale C-K per diventare amare. Quindi la radice iniziale è kã “amore”, “desiderio”, facendo anche riferimento al famoso termine kãmasūtra (sūtra dalla radice siv “cucire”). I latini con questa parola intendevano significare un trasporto quasi involontario, una veemenza e ardenza di passione quasi insensata, un sentimento più animalesco che umano (fonte Bonomi). Oserei dire che già nel periodo latino c’è stata una distorsione del concetto profondo della parola amore ed è qui che vi accompagno alla fonte etimologica sacra grazie al lavoro del defunto professore veneziano di sanscrito Franco Rendich. Per comprendere l’origine delle parole che derivano dal sanscrito, cito Rendich: “ La formazione della prima lingua indoeuropea fu infatti affidata a dei sacerdoti-astronomi che ebbero il compito di tradurre in suoni e in parole l’osservazione del moto degli astri e dei fenomeni che avvenivano nello spazio. Secondo quei sacerdoti-grammatici la luce prese il suono della consonante d, l’acqua suonò n e via via le altre consonanti divennero i simboli delle molteplici manifestazioni della vita cosmica, in perfetta sintonia con essa. E da allora la natura e lo spirito dell’Universo trovarono espressione nella voce dell’uomo”. Quindi la consonante K è il simbolo che rappresenta il moto cosmico curvilineo avvolgente dei corpi celesti nello spazio, associato alla lettera a che simboleggia il “respiro”, diventando “moto dell’energia creatrice dell’universo. Tale energia si irradiava nel cuore dell’uomo, per amare, kam, e per fare felici, kaj (ka moto creativo dell’universo – j moto in avanti). Iniziamo a osservare e a prendere coscienza di come tutto questo sia ben lontano dalla semplice definizione di desiderio o passione animalesca. E la m di Kam, cosa simboleggia?
La m simboleggia il limite, tutto ciò che esiste al mondo in questo piano d’esistenza, ha un limite, un confine, una misura. Con la m fu costruita la radice mã, da cui derivano i termini “materia”, ovvero sostanza definita da un limite; “misura” ovvero che determina un limite; “madre”, ovvero colei che si occupa dei limiti della vita umana. Interessante osservare che la radice invertita am “stare male”, invece crea le parole dedicate alla malattia (amata), alla pena (amìva), alla violenza (amatra). Nella lingua indoeuropea, l’associazione della m e della r, creano le parole legate alla morte; raggiungere (r) il limite (m). Torniamo a Ka-Ma e alla sua origine sacra che unisce due estremi, ovvero l’incontro tra ciò che è eterno (ka) e ciò che è limitato (m), in altre parole, è la misura (m) umana della luce (ka) divina.
Quindi era questo il significato iniziale della parola amore/amare? L’unione fra le forze celesti creatrici che irradiano e compenetrano il limite di un corpo umano, fatto di materia? E cosa significa limite? Un limite della carne della materia o quello che poi è diventato, nel passare dei millenni, il limite dell’Io identificato che invece resiste all’amore? Come puoi lasciarti attraversare dalla luce di Ka (Creazione), se l’estrema identificazione nel tuo Io, impedisce a quell’amore di attraversarti? E allora lancio una provocazione profondamente spirituale associata alla creazione attraverso il suono: se amore inizialmente era Kama, unione fra Spirito-Luce-Movimento del Cosmo e Materia, cos’ha comportato perdere la K nell’evoluzione delle lingue nel greco e nel latino? L’amore è diventato violenza, patimento, male, la vibrazione è cambiata ed è rimasta dentro l’essere umano, solo la parte che associamo al limite del corpo, al solo desiderio sessuale, la brama e come definivano i latini, un sentimento animalesco? Piccola riflessione che non troverà mai risposta, ma mi piace stuzzicare e aprire nuove possibilità di comprensione o un movimento a livello di coscienza. Cosa potrà permettere all’amore di ritornare nella sua forma più profonda e sacra su questo piano d’esistenza? A permetterlo sarà la tua disponibilità a morire, a lasciar morire millenni di distorsione! E cosa deve morire per poter amare? Se sei in relazione, sei disposto a lasciar morire le tue credenze, le tue convinzioni, le tue idee, l’IO per scoprire un NOI, insieme all’altra persona? Sei disposto ad aprirti totalmente, non trattenendo nulla, affidandoti totalmente all’altro? Sei disposto a lasciar morire la tua paura di morire? Quando fai l’amore, sei disposto a morire e a perderti nell’altro, diventando UNO? Un tempo, le donne, quando erano ancora collegate alla vibrazione della radice Mātr, prima di imitare i maschi, avevano una grande forza interiore che era la disponibilità a morire pur di dare la vita, pur di perpetuarla, il sacrificio, rendere sacro. E qui integro il significato profondo di madre e padre, in un periodo storico in cui si vuole volutamente cancellare queste parole. Come abbiamo accennato prima Madre, da Mātr, era nata per prendersi cura della vita e di tutto ciò che ha un inizio e una fine, mentre il Padre, Pitr’, era nato per occuparsi di tutto ciò che è eterno, allo scopo di sopravvivere oltre il limite della vita terrena e unirsi all’Assoluto. L’integrazione interiore di queste due forze danno vita alla massima aspirazione evolutiva: l’androgino divino. E’ quello che intendo, nel mio ultimo libro, “Il bianco e il nero: la vita sta nel mezzo” quando descrivo la fiducia nella materia, l’accettazione del limite della gravità terrestre, nel neonato che può fidarsi e abbandonarsi alla madre; egli nutrito di questa fiducia, crescendo volgerà lo sguardo al padre, volgendo gli occhi al cielo, all’infinito, alla conoscenza e alla scoperta, nell’equilibrio del dentro e fuori. Ti invito a decantare tutto questo interiormente, a lasciare che ti dia anche fastidio, perché è lì che si annidano le credenze distorte e pongo un’ultima domanda: tu, noi, come singoli individui, come società, siamo disposti a morire per amore dei nostri figli, per amore della vita? Il Cristo si è sacrificato per amore, questo è stato il suo messaggio eterno. Per come stanno andando le cose, se non siamo disposti, per amore, a superare la paura della morte si crea un movimento contrario alla vita e, in un sistema naturale, questo non è contemplato; è sintomo, invece, di una profonda selezione della specie, perché in un modo o nell’altro, la legge dell’equilibrio agisce e agirà sempre.
Janine Van Der Merwe Formatrice in Rappresentazioni sistemiche Metodo Jan Ricercatrice e Autrice Puoi condividere questo articolo, citando la fonte

Fonti: Dizionario Etimologico della Lingua Italiana – Bonomi L’origine delle lingue indoeuropee di Franco Rendich Dizionario etimologico comparato delle lingue classiche indoeuropee Sanscrito – greco e latino di Franco Rendick